Ci sono parole che nella vita non si dimenticano anche se poi nel mentre accadono tante altre cose, magari bellissime, ma certe cose dette non si scordano più.

Ero in ospedale ( un centro riabilitativo) ormai da 5 mesi (qualcuno come Diemme se lo ricorderà). Finalmente l’annuncio dei medici che sarei uscita…sarei stata fuori da un ospedale dopo sei mesi di ricovero (compresa la degenza post operatoria)!

C’erano anche i miei genitori ed io mi voltai verso di loro e vidi la delusione sui loro volti e non gioia, finché mio padre disse: ” ma non può stare ancora un po’?” I medici si precipitarono verso di me come per proteggermi da un colpo o una caduta e mio padre aggiunse:” ora mi cadranno addosso un sacco di problemi”. Io con una calma inaudita per me che ero e sono molto più impaziente e “reattiva” risposi: ” beh grazie!” E come al solito loro non capirono la durezza e la cattiveria insita nell’inconsapevolezza di quelle parole dette spinti dall’ansia e dalla paura. Ma quelle parole non le ho mai più scordate ed il ricordo si rinnova ogni volta che mi trattano con sufficienza e mi fanno sentire un peso.Non mi perdo d’animo perché ritengo di avere la possibilità ed il diritto di essere come tutti né mi sento o mi sono mai sentita diversa dagli altri e tanto meno un peso per nessuno anzi sono questi atteggiamenti che sono un peso per me e per la società tutta che si merita di più che la banalità di avere dei membri considerati inferiori ed un peso quando tali non sono.

https://wp.me/p9aadO-G9

Condivido il post di @ilcoraggioperforza perché ieri era il disability day, il giorno dedicato alla disabilità e all’inclusione ed in effetti la riflessione nasce da sola:cosa significa una giornata per celebrare la disabilità? Cosa celebriamo di preciso? La diversità come valore aggiunto? L’accettazione della diversità? Abbiamo capito cosa significa etichettare un individuo come “diverso”?ma diverso da chi e da cosa? Includere nella società un individuo che non può camminare o che non riesce a esprimersi con i mezzi linguistici convenzionali? L’inclusione non è solo l’accettazione di chi è “diverso” nella società, è un atteggiamento psicologico e mentale tale per cui si fa propria la realtà, cioè che non è escludendoli dalla vita sociale che si allontana il pensiero che tutti noi possiamo essere o diventare “diversi”. E che nessuno è diverso da nessuno ma siamo tutti individui e tutti uguali.

Se abbiamo celebrato quest’ultima cosa allora sì, ha un senso questa giornata e che si dia inizio alle danze!

A te,

che non mi conosci, mi vedi e hai a che fare con me per la prima volta.

A te,

che mi vedi camminare con difficoltà tremolante su un bastone tenendomi vicina alle pareti e con la mano che non tiene il bastone in una insolita posizione quasi accartocciata malamente su se stessa cosa pensi? Non pensi che io sia una persona con difficoltà a camminare? Non pensi a tenermi la porta? Se mi inviti a prendere un caffè non pensi che dovrai aiutarmi a raggiungere il bar? Se mi chiedi di pranzare con te pensi che non ci sarà bisogno di accompagnarmi al ristorante? Se mi chiedi di raggiungerti al piano superiore potrebbe essere necessario che ci sia un ascensore e che abbia bisogno di un aiuto per prenderlo?

A te,

Che pensi che se non posso raggiungere un bar o un ristorante da sola non devo bere un caffè e non devo mangiare in compagnia, che se non riesco a spostarmi da sola da un piano all’altro allora devo stare da sola in una stanza vuota, credi che la cattiva sorte colpisca solo gli altri? Credi che isolandomi, cancellandomi dalla tua vista e mente scompaia la possibilità che la cattiva sorte possa capitare a chiunque?

A te,

Che ti nascondi dietro a un dito dicendomi ed urlandomi che il mondo non è una Onlus e non posso, non devo esserci perché sono un ostacolo, una noia, un peso, non pensi che un giorno anche tu o un tuo caro potrebbe essere come me? E allora non pensi che dovresti “trattare il prossimo tuo come te stesso”?

Io sono te, io sono tua figlia, sono tua madre, tua sorella, tua moglie e la tua migliore amica.

Ricordatelo, siamo foglie dello stesso albero e tutte possiamo seccare e cadere.

“Il contrassegno può essere utilizzato solo quando l’intestatario o l’intestataria è a bordo del veicolo, e va esposto in originale, in modo ben visibile, sul parabrezza.Nello stato italiano è anche documento di riconoscimento” Non è difficile ma non è chiaro ai piu’ e racconto a maggior ragione quello che mi è successo giorni fa. Mentre stavamo posteggiando in un posto riservato con il contrassegno sul parabrezza già esposto vedo un uomo che ci fa segno e dico a mio marito “forse ci sta dicendo qualcosa”. Era un vigile. Sì avvicina e dice “il disabile è nella vettura? “Sì sono io” rispondo. “Ha una macchina grande…beh in effetti le servirà spazio….” mi fa notare guardando l’auto nuova e nel frattempo squadrando me e mio marito alla guida. Comincia a dare istruzioni per posteggiare a mio marito che con l’auto nuova deve ancora prendere le”misure” e una volta entrato nel posteggio gli dice” lei non sa posteggiare!” A quel punto ho pensato”ora scende e lo picchia”. Mio marito invece mantiene la calma e dice “ho un’auto nuova”. Il vigile guarda da vicino il contrassegno dove legge il mio nome con la foto accanto e mi chiede è lei “mio nome e cognome”? Rispondo di sì pronta prendere anche il documento di identità e la disability card ( tessera con nome e cognome che attesta la disabilità). La conversazione continua con il vigile che mi dice “mi scusi mi scusi mi scusi ho voluto approfittare di avervi visto per fare un controllo”. E mi osserva scendere e camminare verso lo studio del dottore.

A parte la parte buffa dei commenti sulla macchina e sulle capacità di posteggiarla, cosa stona di questa faccenda?

1) il contrassegno è anche un documento di riconoscimento non avrebbe dovuto chiedermi se ero io

2) sono disabile ed ho un crossover nuovo, quale pregiudizio dovrebbe esserci a riguardo? Ho cambiato auto perché l’altra era vecchia ed ho bisogno di un bagagliaio grande quando uso la carrozzina

3) non c’è bisogno di scusarsi è loro DOVERE farlo

4) sono una disabile di 41 anni che ha bisogno di un accompagnatore ed un bastone, non devo essere vecchia o evidentemente spastica su una sedia a rotelle per avere diritto a un contrassegno.

Vacanze 2022:sì aprono con un’otite e un male di schiena di mio marito (sigh), sì chiudono con un bagno in mare!!

Anche se molti compresi quelli del mestiere non lo sanno con una paresi ad un braccio e una gamba non si galleggia. Sì ci sono campioni paraolimpici paraplegici che nuotano ma loro non hanno l’uso delle gambe ma delle braccia sì. Loro galleggiano. Quest’anno parto per le vacanze al mare con un giubbotto con dei galleggianti (ti quelli per la canoa) decisa a fare il bagno in mare. È da più di dieci anni che non lo faccio…. Il giubbotto ho scoperto mi fa’ galleggiare, non riesco a nuotare ma stare in acqua sì!!! Felice e convinta scopro che arrivare al mare a piedi non e’ banale, la passerella è lunga ma non porta fino in acqua. Il bagnino mi dice: vuole la sedia? Sono incredula,”che sedia?” E scopro la sedia job. Due ruotone di gomma che passano facilmente sulla sabbia e una seduta “a scivolo” … arrivo al mare, entro, mi lascio scivolare e opla’ sono in acqua e galleggio beata!

Eccola, non è pieghevole ma è smontabile…

Aggiungo che a lido di Noto e a Siracusa i bagni ne sono dotati ed i bagnini sono capaci di portarti in mare…

Inaspettata e fantastica sorpresa!!

E voi? Come sono andate le vacanze?

Come scrivevo l’amicizia è stata ed è uno degli aspetti che più mi ha fatto soffrire dopo essere diventata disabile ed ancora oggi è così.

Amicizie finite nel nulla, litigi ed atteggiamenti derisori fino ad arrivare allo scoraggiamento… questo quello che mi è successo. Ho trovato empatia, incoraggiamento ed affetto solo in due amiche di vecchia data, le poche vere amiche rimaste.

Un giorno un conoscente con una disabilità più di lunga data della mia mi disse che per lui gli amici furono indispensabili per un approccio sano e costruttivo alla sua disabilità.Ecco per me molte volte è stato deleterio se non fosse stato per la mia volontà di ferro ed il mio allontanamento da queste amicizie, se le amicizie stesse non erano già sparite di loro.

Parlavo qualche post fa dell’amica che dopo avermi vista disabile mi ha abbandonato sostituendomi in breve con altre persone e dell’amica che mi derideva per poi diventare furiosa quando col tempo io mi sono rialzata ed addirittura ho conquistato ciò che lei desiderava e non aveva. Un amico nonché ex si prodigò quasi come un marito per aiutarmi e starmi vicino.Un giorno di fronte alla mia confidenza di farmi una vita autonoma per via della mia voglia (legittima) di indipendenza, dato anche il rapporto conflittuale con i miei genitori con cui vivevo allora, mi disse che non avrei mai potuto se non andando in un istituto per disabili. Cosa che, a parte essere improponibile ad una ragazza di 27 anni ancora in sé non era affatto necessaria essendo io autonoma in casa, per cucinare e nell’igiene personale ed avendo bisogno di aiuto solo per fare delle commissioni, cosa che avrei potuto risolvere pagando qualcuno che al bisogno mi aiutasse ad uscire e a fare commissioni ( anche per la spesa sono autonoma perché uso la spesa on-line e la consegna a domicilio. Qualcuno che fa le faccende di casa ce l’ho anche ora come tanti. Forse voleva aiutarmi ed era in buona fede ma non era in grado di farlo pur insistendo nel volerlo fare. All’epoca tutto ciò mi fece male. Compreso il fatto ancora più grave che parlò male di me al suo capo cui avevo mandato il curriculum per ricominciare a lavorare, dicendogli che non ero in grado di svolgere un lavoro (cosa per altro non vera dato che ho sempre lavorato e lavoro tuttora).

Non è facile essere amico di chi vive una vita difficile, se non quasi impossibile. Perché ciò che rende un’amicizia tale è un profondo affetto che lascia spazio solo alla solidarietà, quella per cui la vita dell’amico è come la propria stessa vita e le difficoltà dell’altro non cambiano il rapporto mentre si cerca la felicità dell’amico come se si trattasse della propria felicità.

Vergognarsi della propria disabilità? A volte accade ma nella mia esperienza il disabile che si vergogna di se stesso è portato a farlo perché i normodotati accanto a lui o che hanno a che fare con lui si vergognano di lui. Per un disabile che alla sua situazione si è abituato ed adattato la sua disabilità è “normale”. Sembra paradossale ma la normalità è una questione di punti di vista. Sono gli altri che vedono come diversità una disabilità e ne sentono tanto il peso che se ne vergognano. Sono i fratelli, i congiunti, i genitori…a volte addirittura i colleghi.

I miei genitori si vergognano di me, non mi aiutano, addirittura si dimenticano di me fuori lasciandomi sola per strada.

Io non mi vergogno della mia disabilità, non mi sento più disabile di un miope che per vedere deve portare gli occhiali o un ansioso che rimane paralizzato nelle intenzioni quando deve fare una scelta o affrontare un problema.

Una mia amica mi dice: “meglio che i tuoi genitori vogliano starti lontani, loro sono tossici per te”. È vero meglio che non mi stiano troppo addosso sarebbero come sempre illogici e soffocanti.

Sono disabili anch’essi in un certo senso non essendo in grado di vendere la mia “normale disabilità” e talmente tanto da vergognarsene.

Ma non discriminiamo la loro disabilità 🤣

Come alcuni di voi sanno io sono diventata madre dopo un ictus avvenuto 8anni prima. È stato impegnativo, dovevo monitorare con estrema attenzione i farmaci salvavita che non posso fare a meno di prendere e che possono essere dannosi per il feto e controllare molto più spesso del normale l’andamento della gravidanza. Abbiamo cercato questo bambino e abbiamo deciso di averlo quando abbiamo scoperto l’esistenza di un ambulatorio a Milano specializzato in gravidanze di soggetti epilettici. Seguita da questo centro abbiamo realizzato il nostro progetto e ne è nata una bambina bella e sana.

La gravidanza è stata una passeggiata rispetto a quello che ho dovuto affrontare dopo. Già a partire in ospedale dalle infermiere, dedite alla mia sanissima compagna di stanza che supportavano insistentemente per l’allattamento al seno e per le quali io non esistevo come madre che deve allattare e che ha bisogno di imparare a farlo. Prendevano Diana dalla culletta e le davano loro il latte artificiale, piuttosto che aiutarmi a prenderla e farla allattare da me anche magari alternando latte artificiale a quello al seno se il mio non bastava ( mentre il latte l’avevo). Sono io che ho dovuto esplicitamente dire di farlo. Nonostante questo le infermiere non mi aiutavano lo stesso, mi lasciavano sola a gestire una neonata con l’uso di una sola mano senza sapere come si allatta un neonato e senza potermi spostare per prenderle il biberon. Ammetto che più di una volta sono andata nel panico…poi una di loro forse più sensibile e più portata al suo lavoro mi risolse il problema e mi insegnò come fare. Andai a casa ed ho allattato Diana alternando seno e biberon fino a 7mesi.

Poi le tappe furono le solite, il pannolino, le irritazioni da pannolino, la crosta lattea, lo svezzamento, i primi gorgheggi, gattonare, i primi passi e così via. Sono stata una neomamma come tutte ma sempre con un trattamento di serie B. Ed ho lottato per dimostrare di essere una mamma di serie A e di dover essere trattata come tale. In famiglia non fu e non è tuttora meglio. In famiglia il trattamento di serie B si nasconde dietro al preconcetto “tu non ce la fai lo faccio io”. Che in un certo senso è vero, spesso io non posso fare delle cose per Diana ed ho bisogno di aiuto. Ma un conto è aiutare, un altro sostituirsi a te. Perché un parente è un parente, i genitori sono genitori e devono essere presenti nella vita di un figlio. Se io non posso andare a prendere da sola Diana a scuola nulla mi impedisce di farmi accompagnare da qualcuno per farlo. È Diana che me lo chiede tra l’altro, vuole la mamma e il papà non la zia o la nonna, non sempre almeno. E questo vale per tutto, attività sportive, gite, passeggiate nel parco, andare al parco giochi etc. Ovviamente tutto compatibilmente con il lavoro mio e di mio marito.

Se può succedere in qualsiasi caso che la parentela ami trastullarsi con una bambina, specie se carina ed intelligente come Diana nel mio caso è patologico. Devo impormi spesso per stare da sola con mia figlia e fare delle cose con lei. Io sono anche una mamma che lavora e non ho molto tempo “di qualità” da passare con mia figlia e spesso sono anche stanca quando posso stare con lei. Se queste poche occasioni mi vengono tolte soffro io e soffre lei. Per farlo mi devo imporre senza alcuno scrupolo e imporre il mio diritto ad essere trattata come madre di serie A. Perché una madre disabile non è meno madre di una madre normodotata.

Torno di nuovo a parlare di amicizia perché è uno degli aspetti della mia vicenda, che mi ha portato ad essere disabile, che mi ha fatto più soffrire.

Avevo un’amica come quella dello scorso post sull’amica che diventa nemica. Anche lei conosciuta ai tempi dell’università, una di quelle amiche con cui condividi quasi tutto il tempo della giornata, prima le ore di lezione poi le ore di studio, le uscite nei weekend e magari anche le vacanze.Eravamo simbiotiche, un attaccamento quasi morboso da parte sua verso di me. Si vestiva come me e faceva le stesse cose che facevo io, andava ovunque andassi io. Si rifletteva su di me in pratica. Io non ero così ossessiva come lei, non lo sono mai stata con nessuno, non è nel mio carattere. Trovavo però gradevole la sua compagnia e l’ho creduta davvero un’amica anzi credevo che la nostra amicizia fosse assoluta e insostituibile Proprio perché lei era così presente nella mia vita. Un giorno ebbi il mio ictus. Lei non fu tra le prime persone ad accorrere, e nella fase acuta l’ho vista venire qualche volta in ospedale ma sempre con qualche altra persona per cui non eravamo mai sole e non potevamo parlare con confidenzialità. Poi, nella fase post acuta, quel periodo drammatico che passavo tra ospedali e ambulatori e, quando non facevo terapie, sola in casa con i miei genitori col nostro rapporto conflittuale, lei non la vidi più.mi ricordo ancora una volta in cui le telefonai per parlare con lei e sapere come stava e lei non rispose né mai mi richiamò.

In seguito qualche volta nel weekend ci vedemmo per mangiare una pizza ma sempre con altre persone, mai da sole. Mi evitava in pratica.

Ovviamente il rapporto che avevamo prima non poteva non cambiare, la mia vita era cambiata.

Quello che mi sarei aspettata da un’amica così legata a me e che mi aveva fatto credere che fossi per lei insostituibile era che la nostra amicizia sarebbe evoluta e cambiata adattandosi alla nuova situazione. Invece non fu così, fui sostituita con molta facilità e la sentii di nuovo solo per invitarmi al suo matrimonio. Valevo poco come amica è evidente. Spesso mi sono chiesta il perché mi fosse in passato così attaccata, in pratica la mia ombra, per poi diventare così fredda e distaccata. Mi sono risposta subito che è stato molto meglio perderla come amica dato ciò che accadde e che forse avevo scambiato per affetto ed amicizia un’invidia che la portava all’emulazione di ciò che ero e facevo

Se è vero che è nei momenti di difficoltà si vedono i veri amici questa storia ne è la dimostrazione.

Ebbene sì l’ho preso anche io…ero rimasta l’unica tra i miei conoscenti a non averlo ancora fatto,mi sentivo una mosca bianca….me lo ha portato mia figlia che lo ha preso al campo estivo.Lo ha preso infatti anche mio marito. come mi sento? A parte che io per ora ho solo tosse e raffreddore e non la febbre per cui sto facendo credo una forma leggera che sembra un raffreddore più che altro,mi sento spaesata. Io ho una spiccata capacità di reagire di fronte alle difficoltà, ma questa volta è diverso. Nessuno sa nulla o quasi di questo virus se non quello che statisticamente succede a chi lo ha contratto. E le reazioni sono soggettive.

Io sono già debole dal punto di vista del sistema Nervoso centrale e sono epilettica. Quanti epilettici saranno stati visti con il coronavirus? Peggiorerà la sindrome epilettica? Ed i miei cari? Vivranno meno per questo? Quali saranno le complicanze a lungo termine? Sono spaesata e preoccupata come al solito più che per me per gli altri…io reagirò come sempre e un modo di sopravvivere lo troverò. ciò che ci rende deboli è più nella nostra mente che nel corpo.Non sto dicendo di essere in grado di sopravvivere alla morte ma di saper fronteggiare psicologicamente le difficoltà. È per gli altri che mi preoccupo, perché temo non siano in grado di farlo. E che il mio aiuto non basti. Che dire … passerà…

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